Il Consiglio Pastorale a San Lazzaro, tra significato e rinnovo

Il significato del Consiglio Pastorale/1: La Chiesa è popolo di Dio
In questo mese di Gennaio il giornalino ospiterà 4 piccoli interventi sul significato del Consiglio Pastorale (CPP) all’interno delle parrocchie. Siamo vicini al rinnovo del Consiglio a S. Lazzaro e ci sembra importante riflettere sul senso di ciò che andremo a fare. Di certo una ‘ripassatina’ non farà male nemmeno alla parrocchia di S. Pio!
Il primo messaggio che vogliamo condividere non è ‘tecnico’ (come funziona il CPP), ma ‘sostanziale’ (perché esiste il CPP): per capire il senso del Consiglio dobbiamo dire una parola sulla Chiesa. Il Concilio Vaticano II usa un’immagine che spesso viene ripresa da papa Francesco: la Chiesa è il popolo di Dio in cammino verso la pienezza del Regno. È un popolo, dunque non un reame, non una società perfettamente strutturata con le sue gerarchie di merito che comandano e i suoi sudditi che devono obbedire. Non c’è chi è già arrivato e può dire una parola e chi invece non è ancora arrivato e quella stessa parola la può solo ascoltare e mettere in pratica con deferenza. Certo, ci sono compiti diversi, carismi diversi dati a ciascuno; ma tutti sono in funzione del bene comune e devono esserne a servizio. Camminare insieme non significa andare a casaccio; vuol dire però che ognuno ha un ruolo a favore di tutti. Il Concilio Vaticano II afferma che c’è un sacerdozio comune, proprio di ogni credente, ereditato nel battesimo; il sacerdozio ordinato (diaconi, presbiteri, vescovi) serve a farlo crescere, affinché ciascuno possa vivere al meglio la vocazione ricevuta da Dio. Chi ha ricevuto l’ordinazione non è più in alto di tutti, al contrario è il servo della comunione.
Proviamo a tradurre tutto ciò nella vita della parrocchia. Anche la parrocchia è un popolo che cammina, e il parroco non è colui che fa il bello e cattivo tempo perché ha ereditato un potere di comando precluso ai parrocchiani ‘semplici’; non è nemmeno colui che decide e gli altri si devono adattare perché in fondo la parrocchia è sua; tantomeno è colui che può ‘usare’ i laici perché facciano da cassa di risonanza del suo pensiero o longa manus laddove lui non può arrivare. Il parroco è il ministro della comunione, colui che ha il compito di far emergere i carismi dei laici e far crescere tutta la parrocchia nella logica di ‘corresponsabilità’. Questa parola significa che ognuno deve potersi sentire protagonista insieme agli altri; ad ognuno è dato diritto di parola; viceversa, c’è una responsabilità che non è solo ‘del don’, ma è di tutti i membri della comunità, secondo la vocazione data a ciascuno.
Il vescovo Erio lo spiega bene nella lettera pastorale del 2017, quando parla dei diversi modi di concepire la Chiesa che si sono succeduti nel tempo: La relazione dei presbiteri con i laici non può essere costruita oggi sui vecchi modelli dell’accentramento e della delega benevola da parte dei preti, che rispecchiava una visione ecclesiologica “piramidale” nella quale l’unico soggetto della missione salvifica era la gerarchia, mentre i laici erano esecutori o poco più; neppure basterà parlare di collaborazione dei presbiteri con i laici, quasi che solo sul piano operativo e sulla spinta della necessità si dovessero costruire delle convergenze; è invece il momento di strutturare una vera e propria prassi di corresponsabilità, che rispecchia l’ecclesiologia del popolo di Dio come “soggetto” della missione e si basa sul sacerdozio battesimale (p. 46).
La funzione del CPP ha senso a partire da questa concezione di Chiesa.

Il significato del Consiglio Pastorale/2: rappresentare la comunità
La scorsa settimana ci siamo detti che essere comunità significa per noi essere un popolo che cammina insieme, nell’ascolto reciproco e nella valorizzazione dei doni dati a ciascuno dallo Spirito. Questa immagine del ‘popolo’, che viene dal Concilio Vaticano II (e papa Francesco l’ha ricordata con forza in tante occasioni), ci dice in fondo che nella Chiesa non c’è la divisione tra qualcuno che comanda (la gerarchia) e qualcuno che esegue (i laici); piuttosto, tutti siamo chiamati ad essere ‘corresponsabili’, secondo il carisma proprio di ciascuno. Nella vita di una comunità, questo atteggiamento si declina nel trovare un luogo in cui le varie anime siano rappresentate e abbiano il diritto/dovere di parola, sotto la guida di chi presiede. Il Consiglio Pastorale è proprio questo luogo.
Penso alla nostra parrocchia di S. Lazzaro: abbiamo tanti gruppi di impegno e di preghiera – scout, iniziazione cristiana, coro e animazione della liturgia, gruppi di lettura del Vangelo, caritas, gruppi sposi, circolo e attività degli (o per gli) anziani, oratorio e centro estivo, una comunità di suore, l’accoglienza di rifugiati … Abbiamo una grande ricchezza, e dobbiamo esserne grati! Tante volte ci siamo detti però che è faticoso lavorare insieme, conoscersi e valorizzare l’impegno altrui, rispettare la fatica di tutti e i luoghi comuni nei quali viviamo. È facile cadere nella tentazione di dimenticarsi dell’altro, di considerare solo il proprio piccolo (o grande) pezzo come se fossimo semplicemente gli abitanti di uno stesso condominio. Il CPP è importante per questo: ci aiuta a guardarci in faccia, a vedere che la comunità non è formata solo da noi, a comprendere che altri hanno esigenze giuste, benché diverse dalle nostre. Vorrei che al di là della gentilezza o simpatia con cui ci salutiamo, il CPP potesse diventare il luogo in cui ci chiediamo reciprocamente: ‘Come sta andando il vostro impegno? Quel problema che avevate si è risolto? Ciò che voi vivete mi interessa, tocca tutti noi!’. È una sfida ardua, ma penso che proprio di lì passi il futuro della nostra comunità. Noi abbiamo un luogo dove sono rappresentate le realtà della nostra parrocchia e dobbiamo averne cura.
Chiudo con una piccola suggestione: quando ero piccolo avevo un’idea quasi mitica del CPP:
quando nella mia parrocchia (Maranello) si evocavano ‘i membri del Consiglio Pastorale’ mi
figuravo persone dotate di un potere superiore, che decidevano le sorti della parrocchia in una
riunione a porte chiuse al di fuori della portata dei comuni fedeli … Non importa che nel Consiglio
ci fossero mio padre o mia madre: la mia immagine interiore era quella. Anni fa forse tutto ciò era
motivato da una partecipazione maggiore alla vita cristiana, e in alcuni casi c’era la lotta ad entrare
in Consiglio per ritagliarsi una fetta di potere. Oggi le cose sono molto cambiate, ma forse il nostro
immaginario è ancora un po’ fermo a quel passato, fatto di figure parrocchiali importanti che in
qualche caso si contendono una ‘poltrona’ per promuovere il proprio gruppo (o se stessi). Vorrei
che tutti noi potessimo lasciarci alle spalle questo ‘vestito vecchio’, per trovare nel CPP uno spazio
in cui poter incontrare le altre realtà che compongono la nostra comunità e che quotidianamente
camminano a fianco a noi.

Il significato del Consiglio Pastorale/3: un luogo per la formazione
Nei due precedenti interventi abbiamo visto il Consiglio pastorale sotto il profilo della
corresponsabilità e della rappresentanza. Oggi ci fermiamo su un’altra caratteristica: quella di
essere luogo di formazione. Il Consiglio ha il compito di promuovere la “azione pastorale” nella
comunità e nel territorio della comunità. La azione pastorale si sviluppa lungo alcuni assi principali:
la liturgia, la catechesi, la carità (Eucaristia, Parola, Poveri) che trovano alcuni campi di
applicazione definiti (come i gruppi scout, i gruppi del Vangelo, i gruppi sposi, i gruppi del
catechismo, la Charitas, il dopo-scuola ecc) accanto ad altri meno formalizzati (per esempio la
attenzione ai malati, agli anziani ecc). Il Consiglio ha il compito di progettare, orientare e verificare
quanto attiene alla promozione dell’azione pastorale. Perciò deve formarsi. Oggi c’è bisogno di
comunità che pensino, studino, si formino (con percorsi formativi che approfondiscano grandi
temi di fede, di teologia, di storia, di problemi sociali) per potere elaborare proposte vive, che
sappiano cogliere il bisogno di senso (e non di rito), che sappiano illuminare la vita alla luce del
Vangelo, che sappiano connettere la vita del credente alla vita di tutti e ai problemi della nostra
Storia. Il messaggio di Benedetto XVI in occasione della VI assemblea del Forum Internazionale di
Azione Cattolica dice al riguardo: “abbiate uno sguardo attento e positivo verso il mondo nella
continua ricerca dei segni dei tempi. Non stancatevi di affinare sempre di più con un serio e
quotidiano impegno formativo gli aspetti della vostra peculiare vocazione di fedeli laici, chiamati
ad essere testimoni coraggiosi e credibili in tutti gli ambiti della società, affinché il Vangelo sia luce
che porta speranza nelle situazioni problematiche, di difficoltà, di buio, che gli uomini d’oggi
trovano spesso nella loro vita … annunciando il messaggio di salvezza con linguaggi e modi
comprensibili”. Oggi la formazione deve connettere in modo vitale Fede e Storia. Non è difficile ed
è affascinante; solo qualche esempio per dire anche il livello semplice in cui ci muoviamo. La
commissione liturgica ha iniziato a visitare altre comunità per capire che innovazioni hanno
adottato nello spazio della celebrazione e nella liturgia. La Catechesi è oggetto continuo di
riflessione e di rinnovamento: la Diocesi porrà il tema della “trasmissione della fede” all’esame e
alla verifica delle comunità parrocchiali il prossimo anno. La “segreteria” del Consiglio ha studiato
la lettera pastorale del Vescovo Erio, per fare proposte formative al Consiglio stesso; così ci siamo
domandati come affrontare il problema complesso delle migrazioni, per fare fronte alle
semplificazioni pericolose a cui assistiamo da parte dei nostri governanti, e abbiamo confermato il
segno della accoglienza, come segno capace di promuovere interesse e conoscenze. Ci siamo
domandati come segnalare il pericolo, che stiamo correndo, di uno svuotamento sostanziale del
sistema democratico (con la proposta di uno studio dei principi della Costituzione italiana alla luce
del Vangelo). Il Clan sta facendo un lavoro sulla presenza delle mafie nel nostro territorio e ne
renderà partecipe tutta la comunità. Scopo della formazione è aiutare il cristiano (aiutarci tra di
noi) a vivere nel proprio tempo in modo coerente con la fede e consapevole dei problemi della
storia, perciò la formazione diventa l’anima dell’azione pastorale. Cerchiamo di fare tutto questo
in un ambiente relazionale piacevole e caldo.

Il significato del Consiglio Pastorale/4: una realtà a ‘doppio senso di marcia’
L’ultimo articolo sul Consiglio Pastorale ha un titolo un po’ strano: perché un ‘doppio senso di
marcia’? Se ci lasciamo guidare dal paragone stradale lo possiamo capire facilmente. Ci sono
strade, infatti, in cui è possibile andare in una sola direzione: si entra o si esce, ma non entrambe
le cose. Ci sono strade che invece si percorrono nei due sensi, hanno una carreggiata segnata da
una striscia di mezzeria (quando c’è) e le macchine devono stare attente a chi viene dall’altra parte
per evitare incidenti se la strada è troppo stretta. Così è nel Consiglio Pastorale. A volte si è tentati
di pensarlo come un luogo dove si prendono decisioni che poi calano dall’alto sulla comunità,

secondo un principio di progetto e attuazione; dunque, una strada a senso unico. Credo che
quando decidemmo di unificare le messe delle 10 e delle 11.30, per alcuni la scelta sia stata
vissuta proprio così: l’imposizione di un’idea non troppo gradita che non lasciava spazio a repliche.
Qualcuno purtroppo ha deciso che questa messa non faceva più per lui e silenziosamente ha
cercato altrove. La cosa mi è dispiaciuta molto, per la scelta in sé ma più ancora per la sensazione
provata da alcuni di non poter esprimere la propria voce. E confesso che io stesso ho avvertito una
certa impotenza nel non poter rispondere o dialogare con le persone che hanno scelto
semplicemente di cambiare parrocchia.
Proprio questo esempio mi fa dire che il Consiglio non può essere ‘a senso unico’, ma ‘a doppio
senso di marcia’, un luogo dove sia possibile raccogliere i pareri delle persone a partire dai
referenti scelti all’interno della comunità, un luogo dove le istanze portate vengano rielaborate
per poter indicare una direzione unitaria per la crescita di tutti. In realtà, pensando al processo che
ha portato all’unificazione delle messe domenicali, possiamo dire che questa ‘doppia direzione’ ci
sia stata, almeno in larga parte. Ricordo che i referenti dei vari gruppi arrivarono alla riunione
dopo aver fatto molte consultazioni; ricordo le perplessità espresse e le attenzioni che si chiese di
avere; ricordo anche che tutti, nonostante qualche dubbio, dissero che si doveva procedere per di
lì. È stato un momento ‘a doppio senso’? Penso di sì. Certo, questa esperienza dice che da una
parte occorre sempre migliorare nella comunicazione, dall’altra è necessario per tutti il coraggio di
esprimere la propria idea con sincerità, nella disponibilità ad ascoltare un parere motivato, anche
se non sempre in linea con ciò che ciascuno pensa. Insomma, un Consiglio Pastorale ‘a doppio
senso di marcia’ richiede una comunità ‘a doppio senso di marcia’.
Avremo la forza di essere così? Io credo di sì!

Rinnoviamo il Consiglio!
Dopo tanti appelli e tante parole di spiegazione sul significato del Consiglio Pastorale all’interno di
una comunità, finalmente siamo arrivati al momento della decisione. Sì, perché in queste due
settimane saremo tutti chiamati ad esprimere alcune preferenze: prima per individuare le persone
che potrebbero entrare in Consiglio – avremo così una prima rosa di nomi –; poi per votare tra
loro chi farà effettivamente parte del Consiglio. Sembra forse un po’ complicato da dire, ma è
facile da fare. A queste persone verranno poi aggiunti i rappresentanti dei vari gruppi attivi in
parrocchia e magari una o due persone scelte dal parroco … et voilà, il Consiglio è fatto!
Scherzi a parte, credo che questo primo momento dove si indicano le preferenze sia molto
importante: se vissuto bene, infatti, può diventare un momento di conoscenza e di dialogo tra noi.
Tante volte si incontrano persone a messa e magari ci si dà la mano nello scambio di pace … ma
poi non ci si conosce per nome, non si sa che ruolo ognuno abbia nella comunità, non si
conoscono nemmeno le cose basilari che caratterizzano le rispettive esistenze. Ecco, il fatto di
pensare alcune preferenze diventa un’occasione per guardarsi intorno e accorgersi di chi ci sta
accanto, provare a chiedere il nome se non lo sappiamo, sondare la possibilità che questa persona
abbia voglia di partecipare al Consiglio. Così facendo si fa un primo passo, poi magari la settimana
dopo diventa più facile salutarsi e magari scambiarsi qualche parola in più, chissà …
Invito tutti a vivere in questo modo il momento della votazione; se sarà così, avremo già raggiunto
lo scopo di crescere come comunità, al di là di chi verrà eletto.

Don Raffaele